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BRUNO FAEL

Nell’Italia settentrionale degli anni Sessanta e Settanta i centri artistici erano Milano e Torino. Anche Venezia, nonostante le triennali, che periodicamente le facevano piovere addosso l’arte internazionale, rimaneva sostanzialmente provinciale, con qualche eccezione, come Vedova e Santomaso.

A Treviso inizia a circolare il nome del friulano Bruno Fael, autodidatta, amante di tutte le arti, compresa la musica. Sulla scorta della successiva produzione, di Bruno Fael si sono sempre andate a scovare le opere più astratte, quelle a cui l’artista si è dedicato con maggiore ambizione, dato che le esperienze astratte che, collateralmente alla sua produzione pittorica di figura e paesaggio, erano maturate fin dagli anni Cinquanta e che trovavano linfa vitale nella sua passione per la musica (per un certo periodo Fael ebbe anche un’orchestra).
Fin da quegli anni Bruno Fael ci riconduce nel territorio dell’astrattismo italiano e si distingue nettamente dalla tradizione storica sia italiana che europea, portando avanti una sua visione di spazio-luce, più impostata sulla memoria che sulla vista, perché la memoria lo aiuta a concretizzare quei processi sottrattivi dei detttagli in direzione di un assoluto spazio geometrico brillante di luce. Si tratta di vere e proprie “illuminazioni” di un ego sostanzialmente portato alla trascendenza visiva e non del tutto alieno da tentazioni esoteriche, che si concretizzano più tardi in quei poteri di terapeuta che lo resero noto anche in questo campo di medicina alternativa. Sono gli anni del mistero del cosmo, delle esplorazioni astrali, degli artisti astratti che vogliono avvicinarsi a Dio, l’entità più astratta che esista.
E’ da allora che Buno Fael diventa artista, più che pittore, proteso verso il traguardo dell’arte attraverso una lunga ricerca consapevole, che gli ha permesso di arrivare alla realizzazione di sculture, manichini, gioielli: “Artista Totale” e profondo conoscitore delle tecniche moderne, senza rinnegare il proprio passato di artista.
Nel corso degli anni Bruno Fael approfondisce il suo discorso di colorista per diventare “Maestro del Colore” fino ad arrivare ad una sorta di estasi nelle vibrazioni cromatiche-luminose. Ogni suo dipinto diventa, negli anni Settanta e Ottanta, una sorta di canto d’amore, un diario dell’anima a cui Fael affida le confessioni del suo grande amore per l’arte universale, per il colore, quel colore che coinvolge gli occhi e la mente. Il colore, infatti, è una vibrazione della luce e la luce si identifica da sempre con la vita (da qui le sue esperienze di cromoterapeuta).

Di Bruno Fael è stato detto di tutto: pittore fantastico, visionario, maestro del colore e della luce, ritmico, armonico, sempre coinvolto nella sperimentazione; un uomo che si rimette ogni volta in discussione. La sua pitttura astratta o infornmale che sia, deve essere ancora completamente definita: pittore musicale come una sinfonia allegra di Mozart a volte o più austera come Beethoven altre volte, un canto di gioia che si ispira alla vita, alle favole e ai sogni. Bruno Fael, sempre sorpreso del suo lavoro, della conquista della tecnica al servizio dell’artte, come auspicava il Manifesto dell’Arte Spaziale.
Per un artista qual è Bruno Fael, ormai dentro la storia dell’arte moderna, l’invenzione poetica e l’emozione sono ai primi posti nella scala dei suoi valori. La struttura delle sue ultime opere è come la struttura di un racconto e dei personaggi che agiscono nel racconto stesso (vedi la produzione dedicata alle colonne sonore dei film e presentata nel 2003 alla Scuola Battioro di Venezia). In queste opere c’è il lirismo estroverso dei più grandi artisti, a cominciare da Max Ernst. La simbologia figurativa del racconto di Bruno Fael si concretizza in maniera astratta, in un processo di fantasia che diventa autonoma e personale nel ritmo degli spazi e dei simboli.
Nella pittura attuale di Bruno Fael si assiste ad una delirante festa del colore e delle forme, dove mai niente è dovuto al caso, ma diventa la somma di tutte le esperienze passate, belle e brutte, da ricordare e da dimenticare. Bruno Fael è un pittore astratto per modo di dire, quando nella sua arte la realtà non è mai stata più reale: parlo soprattutto della realtà dei suoi sentimenti, delle angosce, delle gioie e delle paure, ma anche del prodigo amore che distribuisce. Quello che più interessa a Bruno Fael è la provocazione, il risultato di un evento, come quello che resta dopo un incendio o un amore finito. La sua è una realtà immaginata, a volte anche spietata, ma molto chiara all’occhio dell’artista, che trasforma i suoi sentimenti in orgasmo di forme e di colori. Ecco perché a volte i dipinti di Bruno Fael appaiono come dei veri e propri paesaggi creati nella dimensione psicologica di un viaggio in Egitto o in Breatagna.
Le opere rappresentano la vita quotidiana di Bruno Fael: brillante, colorata, generosa, ricalcano la forza tumultuosa dei suoi impulsi, l’incarnazione dei suoi sogni, il febbrile lavoro per stendere sulla tela bianca le sua realtà surreale, il documento di quel grande viaggio iniziato oltre quanrantanni fa.

Bruno Fael non ha mai fatto parte di nessuna corrente artistica e non può essere paragonato a nessuno, sia nelle debolezze che nelle intuizioni; è solo e sempre se stesso, unico padrone della sua libertà. Se volessimo dare una definizione dell’arte di Bruno Fael dovremmo collocarlo nel “Nuovo Realismo”, di Arman e Cesàr, per quanto riguarda i concetti di questa corrente, che sono i nuovi aspetti percettivi della realtà o nello “Spazialismo” di Burri e Fontana per quanto riguarda la luce e il colore.
Bruno Fael ha saputo tradurre un nuovo linguaggio pittorico, con l’invenzione e la sapiente tecnica acquisita nel tempo, soprattutto se ci riferiamo alle sue insuperabili capacità cromatiche, quei colori capaci di illuminare il vuoto delle nostre coscienze e la lunga ricerca legata al linguaggio informale con la sensibilità di un grande interprete del nostro tempo. Ecco come Bruno Fael adesso percepisce l’arte, quella che non ha bisogno di essere spiegata, ma che viene recepita in funzione della propria sensibilità.

La mia è la grande stima verso un’artista che vorrei testimoniare con questo scritto, che tenta di restituirgli, in amore, un’amicizia che dura da trent'anni.

Eraldo Di Vita  
OPERE
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Paesaggio veneto
1977
Fiori esotici
1977
Paesaggio sospeso
1994
Guerriero Maya
1995
Primavera
1995
Omenut
1996
Massarot
1996
Promessa sposa
1996
Gjulit
1996
Voli a primavera
1996
Figura
1997
Composizione
1997
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